2.Panoramica sulla ricerca epidemiologica sui campi elettromagnetici a ELF ed il cancro
2.1 Studi residenziali sui campi a ELF ed il cancro
2.2 Studi occupazionali sui campi a ELF ed il cancro
Di seguito verranno analizzati alcuni degli studi effettuati sulle possibili interazioni tra i campi elettromagnetici ed il cancro. Gli studi riguardano, in particolare, i campi EM a frequenza di rete (50 Hz in Europa, 60 Hz in America), nel seguito indicati come campi a ELF (Extremely Low Frequency). Fino agli inizi degli anni ‘70 sembrava assurdo pensare che i campi a ELF generati da linee ad alta tensione, da apparecchi elettrici di uso domestico e da utensili di lavoro, potessero avere qualche implicazione con lo sviluppo dei tumori. I campi elettrici a cui si è esposti, in casa o negli ambienti di lavoro, sono molto deboli (in genere non superano qualche decina di V/m); tuttavia, anche ipotizzando un'’esposizione ad un campo elettrico molto intenso (ad esempio un elettrodotto a 380 KV, con altezza minima dal suolo pari a 16 m, produce un campo elettrico di circa 2,5 KV/m ad una distanza di 10 m), il campo elettrico indotto all'’interno del corpo viene attenuato di un fattore 108. Si hanno così campi elettrici interni al corpo inferiori ad 1 mV/m, che non sono più grandi del campo elettrico generato da alcune cellule. Anche i campi magnetici cui generalmente si è esposti, sono molto deboli (Tab.II); ad esempio il campo magnetico generato da una linea aerea ad alta tensione o da un terminale video è normalmente di pochi decimi di µT (circa l'’1% del campo magnetico terrestre). Valori così piccoli hanno indotto gli scienziati a ritenere sicuri i campi a ELF. Ora su tale questione è in corso un acceso dibattito; molti dei ripensamenti derivano da una serie di studi epidemiologici effettuati negli ultimi decenni.
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Trasformatore |
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Linea di trasmissione (69-765 kV) |
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Linea di distribuzione primaria (4-35 kV) |
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Linea di distribuzione secondaria (115-230 V) |
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Frigorifero |
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Cucina elettrica |
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Televisore |
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Coperta elettrica |
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Aspirapolvere |
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Asciugacapelli |
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Per questi motivi la ricerca epidemiologica, anzichè studiare esposizioni occasionali a campi a ELF, si è incentrata soprattutto su possibili effetti dovuti ad esposizioni prolungate. Le sorgenti per le esposizioni prolungate sono infatti molto più circoscritte ed identificabili di quelle che forniscono alte esposizioni ad intervalli.
Sono state definite due categorie generiche di esposizione:
2. 1. Studi residenziali sui campi a ELF ed il cancro.
Tutti i ricercatori concordano sul fatto che gli effetti sulla salute vadano attribuiti alla componente magnetica del campo piuttosto che a quella elettrica. Questo perchè gli alberi ed i materiali da costruzione intorno alle abitazioni possono costituire degli schermi tali da far sì che i livelli di campo elettrico all’interno delle case siano indipendenti dalle linee elettriche esterne, inoltre i campi elettrici presenti nelle abitazioni (dovuti ad esempio agli elettrodomestici) sono di per sè così piccoli che, una volta attenuati dal passaggio all'’interno del corpo, diventano trascurabili.
Quando nel 1979 Nancy Wertheimer e Ed Leeper presentarono i risultati del loro studio, quasi nessuno credette loro: essi infatti affermavano l’'esistenza di una correlazione tra il cancro nei bambini e l’'esposizione a campi a ELF. Lo studio fu condotto secondo la metodologia del caso-controllo, confrontando i valori delle esposizioni a campi magnetici di 344 ragazzi (di età compresa tra 0 e 18 anni) morti per tumore nella zona di Denver (Colorado) nel periodo 1950 - 1973, con altrettanti controlli appaiati con i casi per età e residenza. L’'accertamento dell'’esposizione si basava sulla distanza della casa dalla linea elettrica e sulle sue caratteristiche (tensione di linea, diametro del cavo, ecc). Gli scienziati conclusero che i ragazzi in case ad alta esposizione erano 2 o 3 volte più predisposti a sviluppare il cancro (in particolare leucemia, linfomi, tumori al sistema nervoso) rispetto ai ragazzi in case a bassa esposizione.
Tutto ciò costituiva un risultato sorprendente che, però, lasciò scettici molti ricercatori. Essi, infatti, ritenevano i risultati dello studio di Wertheimer e Leeper poco attendibili in quanto non erano stati misurati i campi a ELF cui i ragazzi erano esposti ma ne era stata fatta una semplice stima basandosi sulle caratteristiche della linea presente in vicinanza della casa; a seconda della linea considerata, si possono avere valori di tensione variabili tra i 115 V e parecchie centinaia di kV (molte delle linee considerate nel lavoro di Wertheimer e Leeper non avevano più di 35 kV). Un’altra critica, mossa ai ricercatori, riguardava il fatto che la classificazione delle abitazioni in "esposte" e "non esposte" era stata effettuata sapendo in quali abitazioni c’erano i casi ed in quali i controlli. Questo poteva implicare una non obiettività da parte dei ricercatori in quanto, nella classificazione delle abitazioni, poteva aver influito la loro volontà di trovare correlazioni positive.
Si riteneva, all’'epoca, che questi gravi difetti metodologici potessero inficiare la validità dello studio condotto.
Negli anni ‘80 furono pubblicati numerosi altri lavori in questo campo con risultati contraddittori. Ad esempio dallo studio di Fulton (1980) su casi di leucemia in ragazzi di età compresa tra 0 e 20 anni residenti in abitazioni in prossimità di linee elettriche, non emerse alcuna associazione tra la patologia in esame e la distanza dalla linea; al contrario, nello studio di McDowall (1986), eseguito su di un campione di 8.000 persone, fu trovato un aumento della mortalità per tutti i tipi di tumore con punte particolarmente alte tra i residenti a meno di 15 m dalle installazioni (tra questi ultimi erano prevalenti le morti per leucemia). In questi studi la classificazione dell'’esposizione veniva effettuata basandosi solamente sulla distanza dalla linea elettrica. Questo, secondo alcuni ricercatori, non costituiva un errore pregiudicante l’'intero lavoro, in quanto l'’utilizzo della corrente elettrica varia da un giorno all’'altro, da un'’ora all’'altra e, quindi, l'’esposizione a lungo termine può essere stimata più accuratamente considerando il tipo di linea elettrica e la distanza di questa dalla casa piuttosto che misurando il campo in un determinato istante.
Altri studi, invece, utilizzarono anche misure puntuali di campo all’'interno ed all'’esterno delle abitazioni, come gli studi di Tomenius (1986) e di Savitz (1988) (Tab. III).
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Tomenius, nella contea di Stoccolma, concluse che le morti per leucemia, tra il campione in esame, erano più frequenti in vicinanza di linee elettriche da 200 kV; anche il campo magnetico risultò significativamente più alto presso tali abitazioni. Savitz analizzò 356 casi di cancro infantile (nell’area di Denver tra il 1976 ed il 1983) e rilevò un rapporto di rischio di 1,5 per i residenti nelle case con livelli di induzione magnetica superiore a 0,2 µT; benché tale rapporto di rischio fosse inferiore a quello calcolato da Leeper, la maggior accuratezza con la quale fu condotto questo secondo studio tolse ogni dubbio sull'’attendibilità del lavoro e riaccese il dibattito sulla possibile correlazione tra campi a ELF e cancro. Al contrario, Severson (1988), pur usando anch’'egli le misure di campo magnetico, non fu in grado di stabilire nessuna associazione tra la presenza della malattia e l’'esposizione a campi magnetici nelle abitazioni.
In ciascuno di questi studi è possibile individuare un difetto metodologico che pone dei seri dubbi sull’'effettiva validità del lavoro (Tab. IV); tutti, per esempio, hanno considerato un gruppo relativamente piccolo di ragazzi e dunque si potrebbe obiettare sull’'attendibilità statistica dei risultati. Uno dei limiti fondamentali dei lavori citati, però, risiede nel fatto che nessuno di questi aveva trovato una relazione consistente tra il livello di esposizione ai campi a ELF ed il tasso di incidenza del cancro (ovvero una relazione dose-risposta).
Un'’altra critica risiede nel fatto che, sulla base dei risultati di questi studi, circa il 15% dei casi di tumore infantile sono attribuibili all'’esposizione a campi a ELF; questo avrebbe dovuto provocare negli ultimi quaranta anni un aumento, dello stesso ordine di grandezza, per questo tipo di tumori; tale incremento non è stato invece riscontrato.
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OR=2-3 (HCC-LCC) |
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OR=1 |
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OR=1,4 per distanze < 100m dalle linee elettriche. |
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OR=2,1 per linee a 200 kV,campi > 3mG.
OR elevato per tumori al cervello,linfoma ma non per la leucemia. |
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OR=1,4 per campi magnetici a bassa potenza.
OR=1,5 (HCC-LCC) |
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HCC : High Current Configuration (linea ad alta tensione)
LCC : Low Current Configuration (linea a bassa tensione)
Mentre la maggioranza degli studi sui bambini ha evidenziato una correlazione positiva tra tumori ed esposizione a campi a ELF, gli studi relativi agli adulti che vivono in prossimità di linee elettriche hanno dato, quasi tutti, esito negativo.
Perchè l’'esposizione ai campi a ELF dovrebbe aumentare il rischio di tumore nei bambini e non negli adulti ?
Una possibile spiegazione potrebbe consistere nella difficoltà di separare, negli adulti, l'’esposizione ai campi a ELF dagli altri fattori cancerogeni (fumo, agenti chimici, inquinamento, ecc.). Si pensa che tali fattori, di indubbia cancerogenicità, nascondano negli adulti gli effetti dovuti ai campi a ELF. In realtà non si è ancora riusciti a dare una risposta chiara ed univoca del motivo di questi risultati contrastanti.
2. 2. Studi occupazionali sui campi a ELF ed il cancro.
Una ricerca, di fatto indipendente dagli studi residenziali, riguarda la possibile correlazione tra l’'esposizione ai campi a ELF sul luogo di lavoro ed il cancro. Questi studi, in seguito denominati come "studi occupazionali" (riferiti cioè all’'occupazione, al tipo di lavoro svolto dal soggetto in esame), non pongono alcuna distinzione tra l'’esposizione a campi magnetici e l'’esposizione a campi elettrici visto che le sorgenti radianti (apparati elettrici) producono entrambi i tipi di campo e non è presente alcun tipo di schermatura efficace (al contrario di quanto visto negli studi residenziali). E’ discutibile anche la restrizione dell’'analisi a sole frequenze di rete in quanto vengono così escluse alcune categorie di lavoratori quali i tecnici riparatori di radio e televisioni. Tutti gli studi presentati sono concordi nell’'attribuire alla classificazione "lavoratore elettrico" il significato di "lavoratore esposto" ai campi a ELF. Questo filone di studi è, nel complesso, piuttosto coerente nell’'affermare l’'esistenza di un accresciuto rischio di tumore (in particolare leucemia e tumori al cervello) per gli addetti alla produzione e distribuzione di energia elettrica e per le altre categorie professionali esposte ai campi a ELF.
Nella letteratura si riscontra una netta distinzione tra gli studi sulla leucemia e quelli sui tumori cerebrali in rapporto all’'esposizione professionale ai campi a ELF. Tra i primi, un risultato interessante fu riportato da McDowall (1983): rilevò elevati RR per tutte le professioni di tipo "elettrico", soprattutto per i tecnici delle telecomunicazioni. L'’accertamento dell’esposizione fu stimato basandosi sulla professione riportata nel certificato di morte dei maschi adulti deceduti per leucemia mieloide acuta in Inghilterra e Galles nel 1973, casi, mentre come controlli vennero presi i soggetti deceduti per cause diverse.
Anche Pearce (1985) trovò risultati analoghi per la leucemia utilizzando il Registro Tumori della Nuova Zelanda relativo al periodo 1979-83. Nel 1986 Flodin trovò un OR molto elevato (3,8) per la leucemia mieloide acuta nei periti elettrotecnici, i saldatori elettrici e gli addetti alle telecomunicazioni (Tab. V).
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Una critica mossa a questi studi è quella di aver stimato l’'esposizione semplicemente basandosi sulla "qualifica professionale" (ingegnere, perito elettronico, progettista, ecc.) senza tener conto dell’'effettivo lavoro svolto e, di conseguenza, della relativa esposizione. Secondo Savitz tutto ciò non compromette i risultati anzi, gli RR risultanti da una classificazione così generica sono una sottostima di quelli effettivi.
Dallo studio di Matanosky (1989) in poi, sono invece state utilizzate (per l'’accertamento dell’esposizione) misure del campo magnetico negli ambienti di lavoro; ciò ha consentito una valutazione più precisa dell’'esposizione per le varie categorie e ha dato origine a risultati sostanzialmente concordi con i precedenti.
Gli studi sui tumori al cervello tra i lavoratori elettrici hanno avuto un'’impostazione per alcuni aspetti differente. Si è cercato di distinguere, all'’interno di una categoria di lavoratori, quelli soggetti ad una "probabile" esposizione da quelli soggetti ad una "possibile" esposizione (probabile : quasi sicura; possibile : da non escludere). I vantaggi potenziali di questo approccio sono un guadagno nella precisione statistica anche se le differenti classificazioni rendono l’'analisi comparativa più difficile. Nonostante ciò si nota una consistente associazione tra il cancro al cervello ed il lavoro di tipo elettrico. Gli RR trovati sono di solito pari a 2 o poco meno (tab. VII).
Per quanto riguarda gli studi relativi all’'associazione tra esposizione ai campi a ELF e tumori cerebrali, uno dei primi è stato effettuato da Lin (1985). Prendendo come casi i deceduti nel Maryland per tumore al cervello nel periodo 1969-82 (maschi adulti), come controlli i deceduti per cause non tumorali ed appaiandoli opportunamente ai casi trovò un significativo incremento nel numero dei tumori tra i soggetti impiegati nell'’industria elettrica ed elettronica. Nel 1988 Speers pubblicò uno studio, svolto in Texas con criteri analoghi a quelli di Lin, che individuava rischi significativamente elevati per attività associate ai campi a ELF. Mentre gli studi di Speers e Lin riguardavano un solo Stato (Texas e Maryland) in cui venivano scelti i casi ed i controlli con un periodo di osservazione di circa un decennio, lo studio di Loomis e Savitz (1990) assunse come casi i decessi per tumore al cervello in 16 Stati americani, nel periodo 1985-86, e come controlli i deceduti per cause diverse opportunamente appaiati. Anche questo studio indicava, comunque, un incremento notevole del rischio di tumore per i lavoratori elettrici.
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Recentemente è emerso un interesse verso il tumore alla mammella dei maschi. Di questo tumore, estremamente raro, sono stati riscontrati un paio di casi tra i lavoratori elettrici, ciò costituisce un fatto eclatante (Tab. VIII). Un'’ipotesi interpretativa (Wilson, 1988; Reiter, 1992; Repacholi, 1994) suggerisce che il campo magnetico perturbi il sistema endocrino, abbassando il livello della melatonina, attraverso un'’azione sull'’ipofisi; ciò porta un aumento del rischio cancerogeno.
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E’ evidente dai precedenti studi un aumento del rischio di tumori; sotto il profilo eziologico però occorre considerare, oltre il ruolo dei campi a ELF, anche quello dei cancerogeni chimici, in particolare dei solventi, in quanto molte categorie di lavoratori sono esposte ad entrambi i fattori di rischio. Questa possibilità ha indotto alcuni ricercatori ad interpretare questi risultati come più plausibilmente attribuibili agli altri fattori piuttosto che ai campi a ELF. In alcuni degli studi più recenti, (Thériault - Francia 1994; Floderus - Svezia 1993) sono stati presi in considerazione valutazioni ed aggiustamenti per tali agenti al fine di isolare l’'eventuale effetto della sola esposizione ai campi a ELF. Inoltre si è tenuto conto delle condizioni socio-economiche dei soggetti, delle loro abitudini (ad esempio il fumo), della loro particolare vita lavorativa; sono state messe a punto tecniche per far sì che i ricercatori operassero in maniera più obiettiva possibile: gli esperimenti, in genere, sono stati condotti o con il "metodo cieco" o con il "doppio cieco" (nel primo caso, chi analizza i dati non è a conoscenza se i dati si riferiscono a soggetti esposti o meno; nel secondo caso, tali informazioni sono nascoste anche a chi raccoglie i dati). Anche in questi studi più rigorosi è stata riscontrata un'’associazione positiva tra le esposizioni ai campi a ELF e l’'insorgenza di tumori, che difficilmente a questo punto può essere imputata al caso.
2. 3. Considerazioni conclusive
Dall'’analisi di tutti gli studi sopra riportati emerge una probabile associazione fra esposizione ai campi a ELF ed insorgenza di alcuni tipi di neoplasia. In particolare, per gli studi residenziali, si è riscontrata tale associazione solo per livelli di induzione magnetica superiori a 0,2 µT. Tuttavia la natura osservazionale (non sperimentale) degli studi epidemiologici (sia occupazionali che residenziali) non consente di dare un senso eziologico a tale associazione. Quindi potremmo classificare l'’evidenza di cancerogenicità dei campi a ELF come "evidenza limitata" in quanto vi è un’'associazione positiva ma non si possono escludere errori sistematici, casuali e fattori di confondimento. Tale valutazione presenta una sostanziale analogia con la definizione di " probabile cancerogeno" adottata dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC): "un'’interpretazione causale è ritenuta credibile, ma il ruolo dei fattori casuali, di distorsioni o di variabili di confondimento non può essere escluso con ragionevole confidenza". La IARC, comunque, non ha sinora valutato la cancerogenicità dei campi elettromagnetici e, quindi, ogni confronto con il suo sistema di classificazione, che si basa sulla verifica di una serie di criteri introdotti da Hill. (tab. IX), rimane ipotetico. Solamente nel caso in cui tutti questi criteri risultassero verificati si potrebbe, allora, affermare un rapporto diretto di causa-effetto tra l’'esposizione a campi a ELF e l'’insorgenza di tumori.
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