Appare chiaro, da quanto sinora esposto, che la ricerca scientifica deve ulteriormente approfondire le conoscenze relative alla cancerogenicità dei campi a ELF. Nel frattempo, è necessario chiedersi se sia opportuno applicare alcuni interventi di prevenzione. Per fornire una risposta a questo quesito è necessario anteporre alcune considerazioni di carattere generale.
Gli studi di tipo eziologico hanno la duplice finalità di contribuire alla comprensione delle cause delle malattie e di fornire basi scientifiche per l’'adozione di azioni preventive. A tal proposito è necessario chiedersi quanta "evidenza" occorra, in assenza di certezze sul piano scientifico, per giustificare misure di prevenzione. La definizione stessa di "evidenza sufficiente" può essere influenzata, fra l’'altro, dalle modalità con cui viene percepita l’'esigenza della prevenzione dalla società.
In merito a ciò, si possono riconoscere due atteggiamenti principali: un primo approccio valorizza le indicazioni emerse dagli studi epidemiologici, anche in assenza di conoscenze sui meccanismi biologici sottesi ai fenomeni in esame; in tal caso, tra i criteri di Hill, vengono privilegiati quelli riguardanti la forza dell’'associazione e la riproducibilità. In questo quadro, si riconosce agli studi epidemiologici il compito di identificare eventuali fattori di rischio sconosciuti per poter quindi provvedere alla loro eliminazione. Un secondo tipo di approccio è basato su un'’accurata conoscenza dei meccanismi patogenetici degli specifici agenti presi in esame. Fra i criteri di Hill si dà particolare importanza alla plausibilità biologica e, su queste basi, si parla di "evidenza sufficiente" solo quando si arriva alla comprensione in profondità di un particolare fenomeno. Il primo dei due approcci valorizza un criterio cautelativo, il secondo un criterio di efficacia.
Alla luce di queste considerazioni, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sostiene che la scelta di attuare, o meno, misure di prevenzione nelle situazioni di incertezza è legata a valutazioni di tipo costi-benefici alle quali concorrono le informazioni scientifiche di base, ma anche complessi sistemi di valori non sempre esplicitati. La stessa applicabilità dell’'analisi costi-benefici ad entità alle quali la collettività attribuisce un valore incommensurabile (come la vita umana), può venire messa in discussione.
Per formulare un giudizio sulla necessità e sull’'efficacia della prevenzione stessa è necessaria una valutazione quantitativa del numero di casi di una data patologia imputabili all'’esposizione a campi a ELF. Per questo scopo verrà riportata una stima dei casi di leucemia infantile attribuibili ad esposizione a campi a ELF in Italia. Comunque, dato l’ampio margine di incertezza associato a queste stime, è opportuno sottolineare il significato indicativo delle stime stesse.
La tabella X fornisce alcuni dati di base sull'’incidenza della leucemia infantile.
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** La percentuale è ottenuta dividendo la stima del numero di esposti per il numero di residenti in Italia al censimento del 1991 (circa 57 milioni).
La Tabella XII fornisce le stime del numero annuo di decessi e di casi incidenti di leucemia infantile nella popolazione attribuibili all’'esposizione residenziale a campi a ELF. I valori dell’RR considerati nel modello corrispondono alla stima puntuale formulata da Ahlbom (1993 - Svezia) ed ai limiti inferiore e superiore dell’intervallo di confidenza al 95% ad esso associato.
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** I valori di RR utilizzati corrispondono alla stima puntuale del rischio (2,1) ed ai limiti inferiore (1,1) e superiore (4,1) dell’'intervallo di confidenza al 95%, stimati nell'’analisi combinata dei recenti studi scandinavi sull’'incidenza di tumori infantili in relazione all’'esposizione residenziale a campi magnetici. (Ahlbom, 1993)
*** Frazione eziologica: Pe(RR-1)/(1+Pe(RR-1))
**** Sono i 177 decessi per leucemia infantile verificatisi in Italia nel 1991 e 432 i casi incidenti di leucemia infantile stimati per l’Italia come media sul triennio 1990-92
***** Casi attribuibili all'’esposizione residenziale a livelli di induzione magnetica >0,2 µT, dovuti alla vicinanza delle abitazioni agli elettrodotti (Frazione eziologica X casi osservati).
Inoltre, alcuni autori si sono preoccupati di studiare il campo magnetico presente nelle abitazioni prescindendo dalla presenza degli elettrodotti. In Danimarca, ad esempio, è stato stimato che nel 15% delle case distanti da installazioni elettriche l'’induzione magnetica media era superiore a 0,1 µT (Olsen, 1993; Skotte, 1994). In Italia non si dispone, al momento, di stime paragonabili a queste, mentre sono state presentate stime della corrente indotta da apparecchi elettrici a 50 Hz. Tofani (1994) ha valutato l’'esposizione diurna media, considerando tutti i possibili dispositivi utilizzati in una giornata, ed ha trovato valori confrontabili con quelli dell'’esposizione derivante dalla presenza di un elettrodotto (di 380 KV) a 30 m di distanza. In quest'’ottica vengono fornite le stime del numero di casi di leucemia infantile attribuibili alla residenza in abitazioni con campo magnetico di intensità superiore a 0,1 µT prodotto dalle sole sorgenti domestiche (Tab. XIII).
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** I valori di RR utilizzati corrispondono alla stima puntuale del rischio (2,45) ed ai limiti inferiore (1,09) e superiore (5,40) dell'’intervallo di confidenza al 95%, riportati da Feychting e Ahlbom (1993) in relazione alla residenza in case con livelli di induzione magnetica >0,1 µT.
Le stime del numero di casi di leucemia infantile attribuibili all'’esposizione a campi a ELF, generati dalle linee elettriche (di trasmissione e di distribuzione) e dalle sorgenti domestiche, derivano da modelli inevitabilmente affetti da arbitrarietà, oltre che dalla variabilità sottesa dai fenomeni in esame. Ad esse va quindi assegnato un carattere soprattutto indicativo.
In questo contesto si delinea in modo chiaro la necessità di svolgere ulteriori ricerche. Parallelamente allo sviluppo delle attività di ricerca occorre, come già detto, valutare l'’opportunità di realizzare alcune misure preventive. Poichè i risultati scientifici oggi disponibili, di natura strettamente epidemiologica, non consentono di ottimizzare gli interventi in base ad un criterio di efficacia, non sembra possa rientrare tra le misure di prevenzione possibili l’'adozione di limiti di esposizione diversi da quelli in vigore. Fissare un limite di esposizione richiede, infatti, una conoscenza dei meccanismi biologici in gioco superiore a quella attualmente disponibile; inoltre l'’adeguamento concreto ad un limite sarebbe particolarmente problematico per ambienti domestici.
Si ritiene tuttora valida la filosofia dell’IRPA/INIRC (1990): secondo tale impostazione i limiti di esposizione possono essere basati solo sugli effetti acuti della stessa, perchè solo di questi è adeguatamente documentata la relazione con l'’intensità dei campi esterni. Il rispetto dei limiti previsti dalla normativa italiana deve essere considerato un requisito minimo al quale va affiancato l’'obiettivo generale di una riduzione dell'’esposizione. Occorre quindi che nei progetti di realizzazione di nuovi elettrodotti si cerchi di ridurre i campi elettrici e magnetici anche mediante l’'adozione di nuove soluzioni tecnologiche. In particolare, il contenimento dell’'eposizione appare prioritario per gli asili, le scuole ed altri ambienti, al chiuso o all'’aperto, destinati all'’infanzia. Considerazioni analoghe valgono anche per la progettazione di altri tipi di apparecchiature elettriche. Per quanto riguarda l’'esistente, sull'’esempio di quanto raccomandato da autorità sanitarie ed enti protezionistici di altri paesi (Svezia), appare prioritario pianificare interventi di riduzione dei livelli di esposizione ove risultassero superiori a quelli consentiti. A tale scopo va definita una procedura che preveda, da un lato, l’'effettuazione di campagne di monitoraggio per una corretta valutazione dei livelli di esposizione e, dall'’altro, l'’individuazione di criteri di priorità per quanto concerne gli interventi di bonifica, inclusa la fattibilità (i costi) delle diverse azioni di risanamento.