3.1 Introduzione
3.2 Radiazioni ad impulsi
I risultati disponibili hanno indotto a concludere che
non c’è una chiara dimostrazione che le MW pulsanti (tipo quelle
prodotte da un radar) determinino effetti biologici diversi da quelli osservati
in seguito ad esposizioni a radiazioni ad onde continue della stessa densità
di potenza media, tuttavia le conoscenze attualmente raggiunte sugli
effetti biologici dei campi pulsanti e modulati a RF, suggeriscono di confrontare
tali risultati in un contesto più significativo e con un esame
più accurato dei meccanismi delle possibili interazioni.
Il fatto che la radiazione modulata ad impulso possa penetrare
più profondamente rispetto a quella ad onda continua avente
la stessa frequenza portante, deriva dal fatto che il
segnale modulante contiene una serie di armoniche (la componente
fondamentale coincide con la frequenza di modulazione). Mentre le armoniche
di ordine più alto sono fortemente attenuate dai tessuti biologici,
le armoniche le cui frequenze sono più basse rispetto alla portante
sinusoidale penetreranno più a fondo di quelle ad onda continua
(inoltre lo spettro di frequenze di un campo transitorio di
breve durata può occupare una banda che va da 0 ad alcuni
Ghz).
Da un punto di vista biologico la presenza o meno dell’impulso
è un problema non molto diverso: il tessuto è in grado di
assorbire energia termica e, dal momento che è il sistema termoregolatore
quello che entra in crisi, risulta evidente che le costanti di tempo che
intervengono sono quelle biologiche e dello stesso sistema regolatore.
Si possono intraprendere due strade per risolvere il problema:
1. Se si analizza tessuto esposto per un periodo di tempo, poi si termina
l’esperimento prima di aver raggiunto
un livello di rottura, si possono avere danni? Quale fastidio
si determina?
2. Che differenza esiste tra un segnale pulsante ed uno continuo? In
realtà la differenza è quasi nulla, nel senso che se
si ha un impulso in un dato istante e l'altro arriva dopo un intervallo
di tempo sufficientemente lungo, allora è come se la potenza data
in quell'impulso fosse distribuita in tutto l'intervallo di
tempo dato dall'impulso stesso, perché, in pratica, si fornisce
un grosso impulso di partenza, si scalda all'interno del soggetto, però
poi si ha un tempo sufficiente perché il sistema termoregolatore
riesca ad assorbire questo calore ed ad eliminarlo. Questo discorso
vale se i due impulsi sono lontani, se invece sono vicini il soggetto non
fa in tempo ad assorbire il calore e ad eliminarlo e ne conserva
al suo interno, una quantità proporzionale a quella
che si avrebbe facendo la media.
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In fig.8 e' rappresentato un impulso di forma
rettangolare con una larghezza To , un periodo T e 1/T è
la Pulse Repetition Frequency (PRF), di solito però si caratterizza
un impulso a RF attraverso il suo "duty cycle" che è definito
come il rapporto tra la larghezza d'impulso ed il periodo: To/T. Un
"duty cycle" pari ad 1 corrisponde quindi ad un'operazione in onda
continua. La potenza media (mediata su un periodo) è data
dal prodotto della potenza di picco e del duty cycle. Per brevi
impulsi e bassa PRF, la potenza media può essere
quindi molto piccola, anche se la potenza di picco può trovarsi
nella regione dei GW. A partire dal 1940 l'emissione di potenza di
picco da sorgenti RF si è sviluppata di un ordine di grandezza
ogni decennio. Sorgenti di laboratorio dispongono di alte densità
di corrente con impulsi di ampiezza da 10 nsec ad onda continua, frequenza
da 0.5 ad oltre 100 Ghz, PRF da un singolo a migliaia di impulsi
al secondo e potenza emessa da diversi megawatt per onda continua
a molti GW per singoli impulsi.
Sorgenti di potenza impulsata con queste capacità
sono state attualmente usate per esperimenti nell'accelerazione di particelle
è nelle simulazioni di impulsi elettromagnetici (EMP).
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